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Di Baricco ho letto quasi tutto, avevo 20 anni e sbavavo dietro alla sua prosa perfetta, dietro le intersezioni di tempo e di spazio dei suoi piani narrativi, dietro alla sua punteggiatura creativa, dietro alle spaziature espressive, mentre qualcuno dietro a me portava la mia valigia settimanale di studentessa, qualcuno un po’ più grande che forse aveva già capito, e minimizzava per lo più col silenzio.
Non c’è niente da dire: sa fare il suo mestiere.
Ora “da grande” quel che mi resta di lui è solo Novecento, nella versione originale recitata da Eugenio Allegri, che commuove gli uomini veri (come mio padre che pur era venuto a Teatro brontolando), storia vera, non perché accaduta a bordo del Virginia, ma perché accaduta a ciascuno di noi, almeno una volta.
Ho letto da poco “Questa storia” ed “Emmaus” , la prosa è la stessa: perfetta, ma senza niente da raccontare.

Le storie non si inventano, ma ti incontrano, e per incontrarle e riconoscerle non bisogna essere bravi, ma bisogna essere uomini.

Non conosco Baricco e non voglio sindacare sulla sua umanità, conosco e giudico ciò che lui esprime.
La bella prosa di Baricco è un po’ il suo Virginia da cui non vuole scendere, per paura di incotrare una realtà da vivere davvero e quindi da raccontare davvero, per paura di fare esperienza.

L’esperienza,a parer mio, è la sostanza dell’arte, come del lavoro.

E io?

Per questa volta dalla nave sono scesa e alla fine ho scelto quello che in silenzio mi portava la valigia.

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Inizio con due premesse:
Prima premessa: la Pasionaria, donna di questo secolo, non solo non conosce alcuna forma di razzismo, ma non percepisce assolutamente alcuna differenza razziale: se si è trovata ad aver a che fare con persone di colore quando torna a casa, racconta tutto omettendo assolutamente questo particolare, così come di solito, quando si parla di una persona appena conosciuta difficilmente si mette l’accento sul colore degli occhi o dei capelli…

Seconda premessa: ogni donna ha il suo comitato, che generalmente delibera su questioni diverse a seconda dell’età e delle situazioni: ad esempio se siano meglio gli uni o gli altri pannolini, se anche lo sposo abbia diritto al corredo, o se sia lecito a chi ha i capelli castani giocare alle Winx nella parte di Stella (la Winx Bionda).

Il Comitato della Pasionaria è stato chiamato recentemente a deliberare su una questione ben ben più spessa: è arrivato il primo bambino straniero all’asilo e bisogna stabilire regole di comportemento, dirimendo alcune questioni:
1) se sia lecito fare il segno “amici” (pollice alzato) a uno che neanche ti parla.
Su questo c’è stata una mozione che ritiene che a chi non ti parla si fa solo “niente amici” (pollice verso), ma il comitato ha stabilito a maggioranza che al contrario si può insegnare al nuovo arrivato a fare il segno “amici” per poter iniziare un percorso di comunicazione.
2)Bisogna capire qual è la sua lingua:
Il comitato conosce solo l’italiano e una decina di parole in inglese, pare che una volontaria abbia contato fino a cinque in inglese davanti a lui , ma non abbia ottenuto alcuna reazione.
3) La voce colta del comitato ha deciso di proseguire il percorso di comunicazione insegnando al nuovo arrivato a contare fino a cinque in Italiano.

Non si capisce quanto il progetto didattico di quest’anno: “tutti uguali, tutti diversi” abbia influenzato il comitato nel suo deliberare….

La crisi c’è e si vede, io ne vedo la parte forse peggiore: lavoratori senza lavoro e imprenditori senza più impresa. La polemica del posto fisso è superata, di fatto nessun posto è fisso, tranne gli impieghi statali (un mondo a parte).
Per molti questa potrebbe essere l’occasione per ricominciare per riscoprire che avere un lavoro non è scontato, e che lavorare bene vale la pena indipendentemente dal lavoro che si fa, ma in realtà sono pochi quelli che si rimettono in gioco veramente.
Cito da episodi realmente accaduti:

Sig.ra Cotonata: – ho assolutamente bisogno di un lavoro, tuttavia i miei impegni in casa non mi permettono di star fuori più di due ore la mattina, ovviamente, deve essere un tempo indeterminato. altrimenti non vale la pena… sa devo accudire mio figlio- Io: – ah, lei ha un bimbo e quanto ha?- 14 anni…

Sig. Paco: -Silenzio- Io:- l’ho convocata per un lavoro di assistenza- Sig.Paco: Silenzio- Io:- Il lavoro non richiede qualifica ma puntualità e un po’ di fatica fisica- Sig. Paco: -non ce l’ha un altro lavoro!-

Sig. Passeggi:- questo lavoro mi interessa sono contento che mi abbia convocato, ho bisogno di lavorare e credo di avere l’esperienza necessaria- Io: – ne sono convinta anch’io; lei dovrebbe installare impianti telefonici a domicilio. Sig. Passeggi:- a NO, mi dispiace a domicilio non posso, perché quando vado in giro di solito mi perdo…-

Questi sono solo alcuni esempi pittoreschi, ma assolutamente veri e comunque questi disoccupati sono la maggioranza. C’è anche il disagio sociale, la disabilità, problemi seri, in cui però il lavoro è spesso l’ultimo tassello da mettere a posto.

Non siamo più educati a lavorare, pensiamo sempre a come il lavoro ci può servire e mai a come noi possiamo servire nel nostro lavoro.
E’ necessario per tutti noi recuperare il gusto del nostro lavoro qualunque sia, e se a questo servirà l’apprendistato al posto degli ultimi anni di scuola, ben venga.
Non disprezzo la cultura, tutt’altro, sono convinta che leggere Dante renda gli uomini più uomini, ma sono anche convinta che si possa diventare uomini anche riparando frigoriferi, se poi si potessero fare le due cose sarebbe il massimo…
Il problema è che nessuno legge più Dante e nessuno ripara più i frigoriferi…

Ciascuno trova il suo bene aderendo al progetto che Dio ha su di lui, per realizzarlo in pienezza: in tale progetto infatti egli trova la sua verità ed è aderendo a tale verità che egli diventa libero.

Con queste parole nella prima pagina dell’enciclica ricomincio a lavorare, così come sono, con un po’ di voglia di tornare ad un lavoro che mi piace, in un luogo che in fondo mi appartiene per molte ragioni; certo con un po’ di nostalgia per Spartacus e la Pasio a casa e qualche perplessità per questa famiglia al contrario, per questo regno la cui Regina è sempre in viaggio.

La conciliazione è un problema sociale, è vero, ci vogliono orari flessibili, asili nido, servizi, nonni giovani e disponibili, ma la conciliazione vera è quella personale e c’entra con la verità di sé, con la volontà di essere un’unica persona, con il desiderio che nessuna cosa nella nostra giornata sia fatta per aspettarne un’altra, ma ogni gesto valga in sé e per sé.

Ma cosa c’entra questo con la Pasionaria e Spartacus? Cosa c’entra con il loro bene? Mia mamma ha lavorato sempre e io ho imparato molto da lei al lavoro. Penso sia successo lo stesso a chi ha visto la propria madre dedicarsi alla famiglia quotidianamente.

Sono sempre più convinta che i figli imparino — a volte nostro malgrado — da quello che siamo, quindi li cresciamo vivendo questa vita che, per quanto strana e originale, è la strada che oggi dobbiamo percorrere, spesso anche con quel po’ di fatica che ce la fa amare di più.

Endrigo Morgan

Non sono un’esperta di musica, conosco a malapena le sette note e dai miei gusti si capisce che sono una donna del secolo passato, ma si direbbe inizio secolo passato. Sicuramente il Canzoniere Italiano di Marco Morgan Castoldi meriterebbe un commentatore più esperto, qualcuno che capisca come si fa ad aggiungere qualcosa a cinque canzoni datate ’50–’60 stranote e già praticamente perfette. Non so come ci sia riuscito, ma nella sua voce si sente tutta la distanza dei tempi, la nostalgia di un modo di dire “ti amo” che poteva almeno presumere o anche solo sperare essere per sempre; nella voce di Morgan si sente il graffio, la ferita di chi percepisce questo modo come impossibile. E così “Il mio mondo”, “Resta con me “, “Lontano dagli occhi”,” Il cielo in una stanza” , “Qualcuno tornerà” diventano nostre, appartengono da oggi anche al dramma del nostro tempo, alla nostra generazione ammalata di incertezze.

Mi ricordo che nel 2001 andai ad una mostra al Meeting di Rimini e scoprii che gran parte dei quadri di Van Gogh sono in realtà copie fedeli di Millet. Millet, tuttavia, ritraeva una realtà calda e accogliente che gli apparteneva mentre Van Gogh, ne gridava l’inafferrabilità.

In realtà non mi intendo un gran che neanche di pittura, ma la storia mi sembra un po’ la stessa, seppur con le dovute proporzioni.

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Durante le mie esplorazioni in rete, ho appreso da una provocazione di Pianeta Mamma che l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha autorizzato l’uso della RU 486 una pillola abortiva, che a quanto si dice verrà usata solo negli ospedali, nel rispetto della legge 194, ed entro il 49° giorno di gravidanza. Nell’articolo si parla di 29 casi di morte della donna, di possibili complicazioni e di un procedimento non certo indolore, contemporaneamente minimizzando e affermando che la Chiesa ha alzato il solito polverone esagerando nei termini nel chiamare questo farmaco veleno. Nota interessante che questa community oltre che dalle neomamme viene abbondantemente visitata da giovani coppie di adolescenti inesperti che cercano di capire se e come rimediare alle loro imprudenze.

Inoltre (del resto era prevedibile) il rispetto della 194 nei fatti è praticamente nullo come è dimostrato da un’inchiesta di Tempi che ha convinto Eugenia Roccella, sottosegretario al welfare, della necessità di un’indagine parlamentare.
Confusione informativa, scarso rigore e approssimazione anche quando è in gioco la vita sono nel nostro paese, seppur imperdonabili, all’ordine del giorno, ma non voglio parlare di questo. La domanda che vorrei porre é: avevamo veramente bisogno di questo? di una pillola che rendesse più facile abortire? è questa la direzione in cui vogliamo andare? Ci si illude che se la strada è più breve sarà più facile dimenticare. Non sarebbe meglio cominciare da capo da un’educazione alla sessualità e al rispetto di sé e spendersi più che in trovate farmacologiche in un sostegno reale alle persone?
Conosco alcuni che silenziosamente fanno questo lavoro nel quotidiano e so che ce ne sono molti altri, e io non voglio aprire un dibattito sull’aborto, ma mi schiero dalla loro parte.

Per una buona ragione

Ma sì, mi faccio questo regalo, lo faccio perché ho scoperto questo mondo grazie alla MiaMetà, che mi ha fatto incontrare nuovi amici e una realtà nuova in cui ho imparato cose, in cui ho detto qualche volta la mia, sapendo che qualcuno noto o ignoto avrebbe letto ciò che scrivevo. Allora dare un giudizio sulle cose diventa responsabilità e richiede un buon uso della ragione, e lavorare sul buon uso della ragione mi ha fatto crescere perché spesso mi ha fatto capire cosa realmente vale, per chi e per cosa vale la pena esporsi pubblicamente in un giudizio; quindi apro questa porta a me e al mondo per una buona ragione: la mia.