La crisi c’è e si vede, io ne vedo la parte forse peggiore: lavoratori senza lavoro e imprenditori senza più impresa. La polemica del posto fisso è superata, di fatto nessun posto è fisso, tranne gli impieghi statali (un mondo a parte).
Per molti questa potrebbe essere l’occasione per ricominciare per riscoprire che avere un lavoro non è scontato, e che lavorare bene vale la pena indipendentemente dal lavoro che si fa, ma in realtà sono pochi quelli che si rimettono in gioco veramente.
Cito da episodi realmente accaduti:
Sig.ra Cotonata: – ho assolutamente bisogno di un lavoro, tuttavia i miei impegni in casa non mi permettono di star fuori più di due ore la mattina, ovviamente, deve essere un tempo indeterminato. altrimenti non vale la pena… sa devo accudire mio figlio- Io: – ah, lei ha un bimbo e quanto ha?- 14 anni…
Sig. Paco: -Silenzio- Io:- l’ho convocata per un lavoro di assistenza- Sig.Paco: Silenzio- Io:- Il lavoro non richiede qualifica ma puntualità e un po’ di fatica fisica- Sig. Paco: -non ce l’ha un altro lavoro!-
Sig. Passeggi:- questo lavoro mi interessa sono contento che mi abbia convocato, ho bisogno di lavorare e credo di avere l’esperienza necessaria- Io: – ne sono convinta anch’io; lei dovrebbe installare impianti telefonici a domicilio. Sig. Passeggi:- a NO, mi dispiace a domicilio non posso, perché quando vado in giro di solito mi perdo…-
Questi sono solo alcuni esempi pittoreschi, ma assolutamente veri e comunque questi disoccupati sono la maggioranza. C’è anche il disagio sociale, la disabilità, problemi seri, in cui però il lavoro è spesso l’ultimo tassello da mettere a posto.
Non siamo più educati a lavorare, pensiamo sempre a come il lavoro ci può servire e mai a come noi possiamo servire nel nostro lavoro.
E’ necessario per tutti noi recuperare il gusto del nostro lavoro qualunque sia, e se a questo servirà l’apprendistato al posto degli ultimi anni di scuola, ben venga.
Non disprezzo la cultura, tutt’altro, sono convinta che leggere Dante renda gli uomini più uomini, ma sono anche convinta che si possa diventare uomini anche riparando frigoriferi, se poi si potessero fare le due cose sarebbe il massimo…
Il problema è che nessuno legge più Dante e nessuno ripara più i frigoriferi…
è anche vero che certi posti ti svuotano completamente della voglia di far bene, e non c’è forza di volontà che regga…
Nessuno ripara più frigoriferi… e tantomeno lavastoviglie! ;-)
Ti approvo in pieno. Purtroppo il gusto per il lavoro non si impara a scuola. Forse non si può imparare da degli impiegati statali, ma certamente non è neanche messo a tema. A dirla tutta, non si impara neanche Dante.
Riguardo all’apprendistato, ci sono state un po’ di polemiche e bisognerà vedere come verrà attuato (come sempre). Sono d’accordo, un po’ di apprendistato in miniera farebbe bene a certi studenti. E a certi professori.
io credo di essere fortunata: nella mia vita ho fatto un sacco di lavori, tutti diversi e quasi nessuno c’entrava con i miei studi.
ma mi sono piaciuti tutti, davvero :-)
p.s.
sono contenta di leggerti di nuovo :-)
Il punto è che il problema non è mai il tipo di lavoro e nemmeno il guadagno, cisono anche calciatori demotivati.
Forse bisognerebbe chiedersi ogni giorno, perché abbiamo 2 mani 2 gambe e un cervello e andare a lavorare cercando di rispondere a questa domanda….
Anch’io sono contenta di rileggervi tutti…il mio silenzio forzato c’entra anche con la lavastoviglie di cui parla Galliolus.
forse il punto è che (soprattutto adesso) bisognerebbe pensare che la possibilità di lavorare è un vero privilegio.
per me è sempre stato così :-)
Hai ragione alga! è vero anche questo
fate qualcosa per il figlio della cotonata! :-)
la faccenda del privilegio è indubbiamente vera, tuttavia da privilegiato non riesco a rassegnarmi: ok, sto lavorando, ok sono privilegiato. Ma per questo devo accontentarmi? specie quando basterebbe tutto sommato poco per essere tutti – beh, niente megalomanie, PER ESSERE IO – molto più contento di così?
sono il primo che pensa che al giorno d’oggi moltissimi abbiano il culo pesante, e non lesino la parte che tocca a me anche se non arrivo certo ai livelli del post :) , ma perché diamine uno deve accontentarsi?
è un po’ come dire “non puoi lamentarti del tuo cibo crudo quando ci sono milioni di bambini che muoiono di fame”. e ok, ma siccome il mio cibo non cambia di una virgola la loro situazione, vi scoccia se mi accendo un fuoco e me lo cuocio, o devo per forza fare come dite voi?
tambu, il punto è che, in molti casi e *ora* è così o niente.
certo, uno (se ne ha le palle e la possibilità) può puntare a qualcosa di più, nel suo posto o da qualche altra parte, ma resta il fatto che la crisi non è passata, anzi.
un sacco di miei amici a torino sono in cassa integrazione e in generale chi ha figli è sempre più ricattabile.
la costituzione recita che la nostra è una democrazia fondata sul lavoro (?).
ma io ho sempre pensato che la qualità della vita (ammesso che un lavoro lo si abbia, e non è così scontato) vada ricercata altrove, per esempio negli affetti :-)
, disse Troisi ne Il postino. Per questo mi servirò di questo brano di Peguy per dire bene ciò che non so dire.