Di Baricco ho letto quasi tutto, avevo 20 anni e sbavavo dietro alla sua prosa perfetta, dietro le intersezioni di tempo e di spazio dei suoi piani narrativi, dietro alla sua punteggiatura creativa, dietro alle spaziature espressive, mentre qualcuno dietro a me portava la mia valigia settimanale di studentessa, qualcuno un po’ più grande che forse aveva già capito, e minimizzava per lo più col silenzio.
Non c’è niente da dire: sa fare il suo mestiere.
Ora “da grande” quel che mi resta di lui è solo Novecento, nella versione originale recitata da Eugenio Allegri, che commuove gli uomini veri (come mio padre che pur era venuto a Teatro brontolando), storia vera, non perché accaduta a bordo del Virginia, ma perché accaduta a ciascuno di noi, almeno una volta.
Ho letto da poco “Questa storia” ed “Emmaus” , la prosa è la stessa: perfetta, ma senza niente da raccontare.
Le storie non si inventano, ma ti incontrano, e per incontrarle e riconoscerle non bisogna essere bravi, ma bisogna essere uomini.
Non conosco Baricco e non voglio sindacare sulla sua umanità, conosco e giudico ciò che lui esprime.
La bella prosa di Baricco è un po’ il suo Virginia da cui non vuole scendere, per paura di incotrare una realtà da vivere davvero e quindi da raccontare davvero, per paura di fare esperienza.
L’esperienza,a parer mio, è la sostanza dell’arte, come del lavoro.
E io?
Per questa volta dalla nave sono scesa e alla fine ho scelto quello che in silenzio mi portava la valigia.